Il messaggio

 

del Vescovo Chenis †

 

 

La Chiesa rivolge la sua azione solidale ed apostolica all’intera umanità, ovvero ad ogni singolo individuo. «Esperta in umanità, lungi dal pretendere minimamente d’intromettersi nella politica degli stati, “non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l’impulso dello Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), per salvare, non per condannare, per servire, non per essere servito (cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45)” (Gaudium et spes, 3)» (Paolo VI, Populorum progressio, 26 marzo 1967, 13).

Per questo nel corso dei secoli la Chiesa ha tentato svariate risposte al fine di raggiungere ogni persona in ogni condizione essa possa trovarsi, non dimenticando migranti ed itineranti, tra cui la «gente di mare» nei suoi diversi e molteplici ruoli. In un’intervista alla Radio Vaticana, il presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti affermò che l’era della globalizzazione «mette in luce un paradosso sconcertante: da una parte accelera la libertà di trasferimento di beni e capitali, ma dall’altra ostacola i trasferimenti delle persone, mettendo a repentaglio quel diritto fondamentale dell’uomo che è la libertà di movimento. La cultura del mercato applicata ai capitali funziona bene, ma quando si rivolge ai movimenti delle persone si inceppa» (Vegliò A.M. Intervista, 30 giugno 2009). Vanno, pertanto, promosse «iniziative di integrazione e tutte quelle forme di convivenza sociale, culturale e religiosa che ogni società plurale esige» (ibidem) per il bene di quanti in essa operano in modo stabile o occasionale. Tali iniziative devono rispondere alle domande di ciascun contesto, tanto sociale, quanto professionale. Di conseguenza, vanno anche programmate forme di intervento specifico, «al fine di venire incontro alle esigenze della peculiare assistenza religiosa di cui hanno bisogno i marittimi del commercio e della pesca, le loro famiglie, il personale dei porti e tutti coloro che intraprendono un viaggio per mare» (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica motu proprio Stella maris sull’apostolato marittimo, 31 gennaio 1997, Proemio).

 

La Chiesa che è in Civitavecchia e Tarquinia non può, dunque, rimanere indifferente a tale sollecitudine data la consistente presenza portuale. Lo stesso Giovanni Paolo II ebbe a sottolineare la peculiarità del nostro Porto, voluto dall’imperatore Traiano e successivamente ristrutturato da pontefici, quali Sisto IV e Giulio II. Esso, «unico nella sua fattispecie, attira l’interesse della Chiesa, perché essendo espressione e strumento di comunicazione tra i popoli, favorisce la realizzazione di quell’anelito di amore e di fraternità nell’unità dei cuori e delle intelligenze, che costituisce una componente essenziale della sua missione» (Giovanni Paolo II, Visita pastorale a Civitavecchia Ai portuali e ai pescatori, 19 marzo 1987).

Dal momento, poi, che «è diritto e dovere del vescovo diocesano offrire con sollecito zelo l’assistenza pastorale a tutti i marittimi che, sia pure per un tempo limitato, risiedono nell’ambito della sua giurisdizione» (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica motu proprio Stella maris sull’apostolato marittimo, 31 gennaio 1997, XII § 1) fin dal mio arrivo in Diocesi ho tentato di avviare un’azione pastorale a beneficio della «gente di mare». Ora, dopo una sofferta fase preparatoria, che purtroppo non ha prodotto i risultati sperati a livello logistico e sinergico, per il mancato reperimento di spazi adeguati alle previste attività e per le difficoltà procedurali sul piano giuridico, s’inaugura ad experimentum il «Centro pastorale del Porto di Civitavecchia». Esso raccoglie le iniziative avviate lo scorso anno da Stella maris, unitamente ai protocolli concordati per il Welfare, tuttora quasi inattuati. A ciò si aggiunge l’animazione delle altre realtà di terra e di mare presenti nell’articolato e complicato universo portuale, sia in Civitavecchia, sia nel litorale della Diocesi.

 

Le radici lontane del progetto sono costituite dall’antica Parrocchia di Santa Barbara, la cui chiesa venne distrutta dalla guerra. In essa, per secoli, i religiosi affidatari si adoperarono a risolvere i bisogni materiali e spirituali di quanti operavano nell’ambito del Porto, oltre che della «gente di mare».

Le motivazioni prossime sono l’esuberante crescita del Porto di Civitavecchia, tanto da costituire la più numerosa «popolazione» del territorio, attestandosi in alcuni milioni di persone, di cui almeno 800.000 marittimi, oltre che i pescatori e i diportisti. A questi vanno aggiunti imprenditori e lavoratori, oltre che militari di terra e di mare.

La centralità mediterranea del Porto di Civitavecchia sta incentivando nuove politiche gestionali dei flussi marittimi, per cui la Chiesa non può rimanere estranea a questa massa di persone che non hanno assistenza religiosa, se non occasionalmente nei singoli stazionamenti. Quella del Porto è la realtà più consistente della Diocesi, per cui occorre particolare attenzione e dedizione, sebbene commisurata con le nostre deboli forze e con l’assenza di aiuti esterni.

 

Il Centro pastorale deve diventare la «parrocchia di chi non ha parrocchia», come diceva don Bosco per difendere la sua idea di «oratorio». E tale dovrà risultare l’impostazione declinata tra sopperimento di bisogni concreti e offerta di spazi ricreativi, quali mezzi per annunciare il vangelo della carità. Di conseguenza, il modello su cui impostare l’attività è quello della «parrocchia–oratorio».

La «gente di mare» si accontenta di poco e necessita di molto. Migrando di porto in porto «l’operatore portuale esprime un rapporto che trascende l’ambito ristretto di una circoscrizione territoriale e si allarga al più vasto orizzonte di persone e cose provenienti dai luoghi più diversi. È un rapporto che, mentre tende al miglioramento delle condizioni di vita di quanti lo vivono, ne promuove al tempo stesso la crescita umana, ampliandone le conoscenze grazie all’impatto con realtà sempre nuove» (Giovanni Paolo II, Visita pastorale a Civitavecchia Ai portuali e ai pescatori, 19 marzo 1987).

In tal contesto, la Chiesa è chiamata ad accogliere il tesoro interculturale della «gente di mare», offrendo l’accoglienza solidale, cercando il confronto dialogico, annunciando la fede cristiana.

In prospettiva, lo sviluppo di tale Centro potrebbe confermare l’importanza di Civitavecchia come sede diocesana, riconoscendo la novità pastorale intrapresa sul versante di mare, oltre che di terra.

 

Le difficoltà per avviare il Centro non sono mancate e non mancano, poiché scarseggiano mezzi e strutture, oltre che sensibilità e sostegno. Tuttavia, non si può trascurare questo andirivieni di milioni di persone, molte delle quali non hanno alcuna occasione di contatto con la Chiesa. Da anni costoro passano dinanzi a noi e noi li abbiamo pressoché ignorati.

Il Centro dovrà diventare luogo d’incontro, di servizio, di preghiera; luogo in cui raccontare i miracoli della propria missione e ricevere la forza per nuove avventure. La «gente di mare» necessita di accoglienza amichevole per non essere perennemente «fuori casa». Deve sentirsi ospitata nella «casa del Creatore», che è il mondo, in cui s’estende l’immensità delle acque, e salvata nella «Chiesa di Cristo», che è il popolo dei redenti, in cui abbonda la carità di Dio. Deve ritrovare nella Chiesa fascino carismatico e rilevanza sociale, così da percorrere un cammino di ricerca religiosa. Urge perciò impegno da parte di tutte le forze in gioco, affinché quanto si sta avviando in Porto rechi la profezia dello «spirito di famiglia».

Il Centro dovrà essere luogo di annuncio, poiché «anche oggi va proposto il messaggio della salvezza con lo stesso atteggiamento dell’Apostolo delle genti, tenendo conto delle diverse situazioni sociali e culturali, e delle particolari difficoltà di ciascuno in conseguenza della condizione di migrante e di itinerante» (Benedetto XVI, Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, 18 gennaio 2009).

Il Centro dovrà stimolare «la pacifica convivenza fra etnie, culture e religioni diverse» (ibidem), incontrando «vicini» e «lontani». I «vicini» sono chiamati a superare con coraggio e costanza la tentazione allo sdoppiamento tra pubblico e privato, tra impegno professionale e fede cristiana, mediante la continua conversione vissuta nella gioia di avvicinarsi al Signore. Ai «lontani» e a coloro che si sono allontanati per la propria scelta o per la nostra controtestimonianza, l’annuncio non potrà se non compiersi attraverso le opere di misericordia corporali e spirituali.

 

Il Centro, dovrà praticare la promozione umana e l’evangelizzazione cristiana. Le sinergie sono fruttuose nella misura in cui si costituisce preventivamente un rapporto di stima reciproca, di condivisione comune, di crescita religiosa. Il senso missionario della Chiesa parte dalla visione dei diversi bisogni riscontrati nel proprio contesto, onde intervenire su più fronti in misura delle forze e del carisma di ciascuno.

Il Centro dovrà dispensare la sollecitudine sociale e la catechesi evangelica, attraverso l’insegnamento e la testimonianza. L’impegno non può, dunque, essere demandato ai soli sacerdoti, ma va condiviso da tutti «gli uomini di buona volontà». Per questo la Diocesi a nome della Chiesa s’impegna «ad un ripensamento della sua missione nel mondo contemporaneo, ad una coscienza religiosa autentica e nuova, ad un confronto col vertiginoso mondo moderno, anzi ad un dialogo di salvezza per chi assume la non facile missione di aprirlo, e per chi abbia la felice sorte di accoglierlo» (Paolo VI, Omelia al Convegno ecclesiale Evangelizzazione e promozione umana, 31 ottobre 1976).

Il Centro dovrà catalizzare le risorse umane presenti nel Porto, per cui può diventare occasione per migliorare tanto i rapporti interpersonali, quanto quelli professionali. In un periodo di crisi, anzitutto di relazioni umane, prima ancora che di sistemi economici, occorre lottare contro le spinte aggressive ed egoistiche che trasformano i luoghi del lavoro e della politica in zone di conflitti spregiudicati e subdoli. Tali logiche depauperano la dignità delle persone, per cui vanno ostacolate ricuperando amicizie oneste e interessi solidali. Ancora una volta il cristianesimo può costituire il valore aggiunto per ridare eticità alle relazioni sociali.

Per ora il Centro dispone di pochi vani in un caseggiato nei pressi del Forte Michelangelo. Con l’aiuto delle competenti autorità portuali si dovrà fare una ricognizione per reperire spazi da attrezzare, tanto per le attività di solidarietà e di servizio, quanto per quelle ricreative e pastorali.

 

Il Centro sarà anche luogo per le celebrazioni religiose: messe, battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni e quanto offre la pietà cristiana. Sede provvisoria del Centro è la Cattedrale che respirerà così a due polmoni: uno in terra, con il proprio territorio parrocchiale, e uno in mare, con l’intera area portuale. Purtroppo, al momento, è stato inopinatamente negato l’uso della Chiesa di San Paolo che in un lontano passato aveva ospitato attività religiose per i portuali. È deprecabile che una chiesa, mai sconsacrata, sia vietata al culto più dall’intimidazione di taluni «benpensanti» che dalla emanazione di atti istituzionali. Pur auspicando che la questione venga ripresa e risolta con il buon senso della tradizione cristiana civitavecchiese, al momento, unica cappella in parte fruibile rimane quella di Santa Firmina al Forte Michelangelo, sebbene angusta e fatiscente. Si sta pensando, inoltre, di strutturare una cripta nei bastioni spagnoli sotto l’antica chiesa matrice di Santa Maria, anche per rievocare tale importante memoria cristiana locale. Per le funzioni di maggiore partecipazioni bisognerà, però ricorrere ai ponti delle navi e alle banchine del porto.

 

Vicario episcopale per il Porto, con la responsabilità sul Centro, è mons. Giorgio Picu, coadiuvato da don Artur Dariusz Jeziorek, quale referente dell’Associazione Stella maris, e da don Lino Dragu, quale collaboratore pastorale.

Appena diagnosticati bisogni e possibilità si farà poi un censimento delle necessità linguistiche, onde attivare i servizi sacramentali in più lingue, calendarizzando le iniziative sugli approdi dei marittimi e dei croceristi.

Non è detto che il Centro riscuota il plauso istituzionale. Tuttavia, segnali positivi già si sono riscontrati nei primi sondaggi e contatti. Del resto, il seme, solo se gettato nella terra, può produrre frutto, per cui l’inizio prevede il silenzio, talvolta, triste della semina, nella speranza che qualcuno possa un giorno fare un gioioso raccolto. L’assenza di strutture e di mezzi fa pensare all’indigenza di Betlemme e a quella di innumerevoli evangelizzatori, così che corre l’obbligo di affidarsi alla divina Provvidenza e a quanti ne diverranno il segno tangibile.

L’apostolato sul Mare Nostrum riporta, altresì, alla prima ora dell’evangelizzazione. Infatti, «il cristianesimo nei primi secoli si è diffuso soprattutto per le vie del mare; per cui anche oggi il cammino sulle navi può diventare un cammino di fede vissuta e testimoniata; un itinerario di speranza nella certezza della meta ultima che è l’incontro con Dio: un’occasione di amore verso tutti gli uomini del mondo, che si ha la fortuna di incontrare» (Giovanni Paolo II, Incontro con i Marittimi italiani, 12 novembre 1983)

Auguriamo a mons. Giorgio, a don Artur e a don Lino salute nel corpo e nello spirito, così da accompagnare la «gente di mare» con pazienza e mitezza, zelo e saggezza. Abbiano essi il coraggio di emendare gli altrui errori e l’umiltà di ammettere i propri. Abbiano ardore nella preghiera e sollecitudine verso i poveri. Sappiano condurre le anime a Dio, non rinunciando ad accompagnare i più sfiduciati e ad promuovere nuove vocazioni.

Non abbandonateli nella solitudine, perché condizionati da futili divergenze e perniciosi egoismi. Riconosceteli come pastori e guide, camminando insieme con gli abiti virtuosi di fede, speranza, carità.

«Noi siamo dei naviganti, quando guardiamo le onde e le tempeste di questo mondo terreno. Ma noi non affondiamo, perché siamo portati dal legno della croce» (Agostino, Tract. in Io. 27,7).

 

X Carlo Chenis